Lezione Accademia di Belle Arti di Brera


incontro con l’artista Franca Marini:
esperienze d’artista tra Siena, San Francisco e New York

Milano 17 gennaio 2003

trascrizione della presentazione (estratto):
Innanzitutto vorrei ringraziare i Professori Esposito e Braga per avermi invitata a presentare il mio lavoro. Un breve cenno alla mia formazione professionale prima di parlarvi del mio lavoro d’artista. Ho frequentato l’Istituto d’Arte di Siena, poi l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Un po’ come immagino ciascuno di voi in quest’aula, ho seguito l’iter formativo classico di chiunque abbia chiara fin dall’inizio la propria “vocazione” artistica. Finiti gli studi accademici, ho viaggiato e trascorso qualche mese a Londra, poi, poco dopo, alla fine del 1987, mi sono trovata in maniera inaspettata a San Francisco. In quegli anni stavo attraversando un periodo di grande difficoltà ed insofferenza personali amplificate dall’atmosfera che respiravo a Siena, la città dove sono nata. Siena è una città d’arte bellissima, così come la campagna che la circonda….. una bellezza che mi trasportava in una dimensione come fuori dal tempo e dalla quale avvertivo un senso di dipendenza. Contemporaneamente, mi sentivo oppressa dall’ambiente provinciale di quella città che io percepivo come alieno e a cui attribuivo almeno in parte la responsabilità del mio forte isolamento. Ero inoltre spaventata dall’idea d’intraprendere la carriera artistica in Italia dove mi sembrava impossibile ricevere qualsiasi riconoscimento soltanto con la forza del proprio lavoro. La scelta di recarmi negli Stati Uniti, come già ho accennato, non fu presa a tavolino, ma in maniera improvvisa senza nessuna consapevolezza del nuovo mondo che avrei incontrato e dettata soprattutto dall’esigenza vitale di un cambiamento, di un distacco, che non fosse solo materiale ma anche e soprattutto emotivo dal contesto in cui vivevo. L’unica certezza che avevo era quella di voler intraprendere la carriera artistica, diventare un artista.
A San Francisco frequenterò il San Francisco Art Institute, una tra le scuole più d’avanguardia degli Stati Uniti attraverso cui entrerò in contatto con l’ambiente artistico della città. Questa si rivelerà un’esperienza molto significativa poiché costituirà un confronto senza mediazioni con la cultura artistica americana. Agli inizi dell’anno 1991 decido di trasferirmi da San Francisco a New York dove vivrò per circa 10 anni iniziando così un altro importante capitolo della mia vita sia a livello personale che artistico.
Le diapositive che vi mostrerò sono una sintesi del mio lavoro dall’anno 1990 a San Francisco ai lavori più recenti realizzati a Siena. Come potrete a breve verificare, il mio mezzo espressivo è la pittura e quindi il mio interesse principale è rivolto all’immagine. Inizio a lavorare partendo da uno stimolo o da un’idea senza però un’immagine mentale predefinita di come dovrà essere l’opera una volta ultimata. Tra l’idea iniziale e l’immagine finale, a volte realizzata attraverso un processo d’elaborazione quasi estemporaneo, altre volte più complesso che può richiedere giorni ma anche settimane, c’è sempre uno scarto, direi che ci dovrà sempre essere uno scarto, un elemento di sorpresa. Credo che ogni immagine creata per poter veramente essere immagine artistica, debba in qualche modo contenere in sé un elemento d’originalità che sorprende perché impossibile da prefigurare prima della sua realizzazione. Ciò può materializzarsi durante il processo di costruzione dell’immagine, durante quel processo legato al fare materiale al quale attribuisco grande importanza poiché è il momento in cui, forse per una momentanea sospensione della coscienza, entrano in gioco dimensioni inconsce dell’artista senza le quali non credo sia possibile creare. Per poter lavorare bene è proprio necessario “perdere la testa”, non pensare, procedere affidandosi sia alla conoscenza del mestiere che alle proprie intuizioni. Tanto maggiore è la professionalità, cioè conoscenza degli strumenti del proprio lavoro, tanto maggiore sarà anche la capacità di “lasciarsi andare”, perdere cioè un assetto razionale.
Per quel che mi riguarda, le opere più importanti si sono spesso rivelate quelle in cui ho lottato di più o meglio quelle la cui elaborazione mi ha condotta al momento in cui mi sono sentita completamente persa…..in quel momento ho capito che dovevo rimettere tutto in discussione, entrare “dentro” l’opera rischiando tutto quello che avevo costruito fino a quel momento. Se ce la avrei fatta a “riemergere” l’opera costruita si sarebbe rivelata particolarmente significativa, altrimenti sarei dovuta ripartire da capo.
Sono consapevole del fatto che scegliere la pittura come mezzo espressivo è oggi una scelta abbastanza difficile… è molto facile essere etichettati come “retrò” ecc. D’altronde non credo assolutamente che la pittura sia l’unico mezzo espressivo valido, sarei pazza se pensassi una cosa simile, solo che, un po’ perché la trovo particolarmente congeniale alla mia sensibilità, un po’ forse per pigrizia, continua ad essere la forma espressiva da me adottata. Confesso che mi sto interessando al video e spero in un futuro di poterlo sperimentare.
Come dicevo, credo che il mezzo espressivo sia importante, ma non determinante per il risultato artistico, nel senso che non può esistere una gerarchia  all’interno dei mezzi espressivi. Ogni artista, però, e questo può essere importante, deve trovarsi quello a lui più congeniale.

Una caratteristica diffusa nel campo delle arti visive contemporanee, che a me sembra discutibile e con cui suppongo tutti voi vi dovrete confrontare, è l’accanimento, l’intenzionalità cosciente a produrre ciò che dovrà essere a tutti i costi considerato nuovo e che deriva da  una impostazione per lo più di natura  concettuale (derivante, sebbene con varianti, dalle provocazioni duchampiane degli anni 1913-17) per la quale ciò che è importante non è tanto l’opera in sé ma il pensiero, a mio avviso piuttosto razionale, che l’ha prodotta ed il concetto che essa esprime. Pensiero che spesso confonde ciò che è originale con ciò che è astruso, enigmatico, bizzarro. Tra l’immagine pensata, che nasce dalla volontà dell’artista di comunicare un preciso pensiero e quella realizzata non esiste uno scarto: l’immagine realizzata sarà quella pensata, immaginata dall’artista nella sua mente prima di realizzarla. Nell’ideazione di un’opera di tipo concettuale il processo di costruzione dell’immagine durante il quale l‘artista può riuscire ad attingere ad un pensiero non cosciente viene abolito o comunque fortemente ridotto. Intendiamoci, non basta dipingere per essere artisti…c’è tantissima pittura in giro che arte non è, piuttosto è esercitazione accademica anch’essa quindi estremamente razionale.
La creazione artistica dovrebbe caratterizzarsi per la profondità dell’immagine poiché  espressione del mondo interiore dell’artista. Se è tale sarà anche originale e verosimilmente si esprimerà con forme che sono nuove anche se ciò può non essere eclatante o immediatamente percepibile. Per riuscire a realizzare ciò è importante sia, come già sottolineato, la professionalità dell’artista, la sicurezza e capacità nell’usare i propri mezzi espressivi, che non deve essere assolutamente sottovalutata e per la quale necessitano anni di formazione, sia una carica inconscia di vitalità e fantasia che un artista per essere tale deve possedere. Carica che comunque non è data una volta per tutte ma che può perdersi e quindi deve essere ritrovata e rinnovata. Problema questo piuttosto complesso che non può ovviamente essere impostato o risolto razionalmente.
Una caratteristica del mio lavoro è quella di procedere per fasi che possono avere una durata di 2, 3 o più anni in cui sviluppo un’immagine, un’idea, fino al suo esaurimento. Ogni fase si caratterizza anche per uno stile particolare come se per produrre nuove immagini necessiti esplorare anche un nuovo modo per costruirle. Esigenza che forse può essere compresa partendo dal presupposto che un’opera sia  tanto più valida quanto più l’idea, il contenuto è fuso alla forma o quanto più la forma è espressione del contenuto.
Tra una fase ed un’altra spesso si situano periodi di transizione caratterizzati da una sorta di blocco creativo, da un senso d’impotenza e difficoltà nell’ideazione d’immagini che ritenga valide e con cui intraprendere un nuovo percorso. Esiste un legame preciso tra la mia capacità a realizzare immagini, a dipingere e la mia soggettività ed esperienza di vita. I momenti più oscuri della mia vita si sono caratterizzati per un’impossibilità pressoché totale a creare immagini. Questo, comunque aprirebbe un capitolo a parte da sviluppare magari in un’altra occasione.

inizio proiezione
Un elemento distintivo del mio lavoro dal 1990 fino al 1999 è l’utilizzo, l’integrazione nelle mie opere di elementi presi a prestito dalla tradizione pittorica medievale, anzi tardo medievale, in particolare senese. (…). Intorno al 2000 ho iniziato una ricerca completamente diversa partendo dal movimento della linea. (…). (1)

BRERA poetics IMAGE

L’ultima serie di lavori, Condensazione, si svolge partendo dagli inizi del 2002 ed è tuttora in fase d’elaborazione. Per portare avanti la mia ricerca artistica mi sono rivolta questa volta al processo di costruzione dell’immagine del collage che trovo particolarmente congeniale in quanto l’immagine viene  a formarsi seguendo un percorso non stabilito. Il frammento di carta strappato velocemente in forme e dimensioni diverse sostituisce la pennellata della costruzione pittorica e diventa un elemento fisico importante a cui rapportarmi e dal quale eventualmente accettare suggestioni.
Esistono dei legami con la serie precedente, Sogno di un nuovo mondo, soprattutto per quel che riguarda l’impostazione, cioè entrambe sono costruite senza far ricorso ad un disegno iniziale. Tra queste due ricerche esistono però anche notevoli diversità. La linea, elemento centrale di quella precedente, scompare quasi del tutto in quest’ultima serie di lavori dove l’immagine si forma a fatica dall’insieme di frammenti di carta accostati l’uno accanto all’altro, come in una sfida ad emergere da un  caos di frammenti colorati; caos solo apparente perché, a ben vedere, quest’ultimi seguono un movimento che costruisce o sottolinea le forme che man mano cominciano a definirsi. Processo comunque abbastanza lungo e laborioso poiché l’immagine viene costruita attraverso una frammentazione estrema. Il risultato finale è quello di una sorta di stratificazione quasi tridimensionale di una miriade di frammenti che nel loro insieme compongono l’immagine, in molti casi percepibile soltanto dalla distanza.  Un motivo ricorrente è quello del reticolato suddiviso in parti geometriche irregolari dai colori più svariati, una sorta d’arlecchino che ha un suo antecedente in alcune opere dell’anno 2001.
Come dicevo, l’elaborazione di questa serie di lavori è tuttora in corso, quindi non sono ancora in grado di svolgerne un’analisi critica... spero questo mi sarà possibile più tardi dopo aver raggiunto dei risultati perlomeno interessanti! (2)

(1) per questi argomenti, vedi presentazione Percorso Artistico al Museo dell’Antica Grancia
(2) i collages dai quali sono partita si sono poi trasformati in tele di grandi e medie dimensioni in cui ho adottato lo stesso sistema di costruzione con rarissimi interventi pittorici. (Novembre 2003